Il caso prende le mosse dalla richiesta di due coniugi di addivenire alla propria separazione consensuale, definendo altresì ogni rapporto patrimoniale immobiliare: tali accordi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro (ed eventualmente dei figli) concernenti beni mobili e immobili, rispondono ad uno specifico e proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento della separazione consensuale, il quale, sfuggendo da un lato alle connotazioni classiche dell’atto di donazione, e dall’altro a quello di un atto di vendita, svela una sua tipicità propria tutelata dall’ordinamento attraverso l’art. 1322 cc.
La giurisprudenza (Cass, Civ, I sez., n. 4306/97) risulta favorevole alla “validità di clausole, inserite nell’accordo di separazione, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di singoli beni mobili od immobili (Cass., 11.11.1992, n. 12110) ovvero ne operino il trasferimento in favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento (Cass., 25.10.1972, n. 3299) o, ancora, impegnino uno dei coniugi a compierlo (Cass., 21.12.1987, n. 9500)”. Negli stessi termini si è espressa anche la più recente giurisprudenza di merito (Trib. Roma Sez. VIII Sent., 03/11/2009).
A riguardo la Corte, richiamando una propria precedente decisione (Cass. Civ. Sez. III, 25.9.1978, n. 4277), afferma che avendo “l’accordo di separazione un contenuto essenziale – il consenso dei coniugi a vivere separati – ed un contenuto eventuale, costituito dalle pattuizioni necessarie ed opportune, in relazione al regime di vita separata, a seconda della situazione familiare (affidamento dei figli, assegno di mantenimento, statuizioni economiche connesse) … rientra pertinentemente nel contenuto eventuale dell’accordo di separazione ogni statuizione finalizzata a regolare l’assetto economico dei rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione, comprese quelle attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all’accordo di separazione e che il Tribunale – con l’omologazione – non abbia considerato in contrasto con interessi familiari prevalenti rispetto a quelli disponibili di ciascuno di essi”.
Sul requisito formale dell’atto pubblico per il trasferimento della proprietà di beni immobili, la giurisprudenza ritiene che il verbale soddisfi i requisiti di forma cui la legge subordina la validità dei negozi traslativi, affermando che esso è atto pubblico “ai sensi e per gli effetti di cui allart. 2699 cc, costituendo, in quanto tale – dopo l’omologazione che lo rende efficace – titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 cc” (Cass. Civ. n. 4306/97).
Tuttavia l’idoneità traslativa del verbale non è prevista espressamente da alcuna norma di diritto civile; in materia fiscale, vi è, invece, una disposizione che disciplina i trasferimenti immobiliari in sede di separazione, anche se limitatamente all’ipotesi in cui l’attribuzione abbia ad oggetto beni già facenti parte della comunione e – per costante interpretazione – sia disposta dal coniuge tenuto al mantenimento in favore dell’altro, a tacitazione di tale obbligo di origine legale: l’art. 8, lettera f) della tariffa allegata al d.p.r. 26.4.1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), il quale stabilisce che «gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale» […] «aventi per oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o la separazione personale, ancorché recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali, già facenti parte di comunione fra coniugi…» scontano l’imposta di registro in misura fissa.
Sempre in materia fiscale è interessante sottolineare che nelle ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi, l’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (norma speciale rispetto a quella di cui all’art. 26 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), alla luce delle sentenze della Corte costituzionale 10 maggio 1999, n. 154 e 15 aprile 1992, n. 176, deve essere interpretato nel senso che l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni tassa” di “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio” si estende “a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”, in modo di garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.
Inoltre, una volta definito quale atto pubblico l’accordo di separazione verbalizzato secondo la normativa dell’art. 126 cpc, la giurisprudenza (Cass. Civ. 4306/97) fornisce gli elementi che consentono di determinare le caratteristiche di tale disciplina formale in relazione alle condizioni di separazione traslative di diritti immobiliari.
A riguardo si stabilisce che l’attribuzione, in quanto si riconnetta alla convenzione diretta a regolare il regime di separazione facendone parte, ne segue validamente la forma, senza che possa distinguersi tra trasferimenti onerosi e gratuiti, non assumendo tale distinzione rilievo, in quella sede, sotto il profilo formale, essendo l’atto disciplinato, in via esclusiva, dalla normativa speciale dell’art. 126 cpc (negli stessi termini v. App. Roma, 25/05/2005).
Se ne ricava che la disciplina de quo, in quanto definita speciale dalla giurisprudenza (Cass. Civ. n. 4306/97 e n. 14791/00), escluderebbe l’applicazione delle norme sulla forma dei negozi traslativi, ogniqualvolta tali atti vengano ricevuti in sede di udienza presidenziale quali condizioni della separazione.
In tal senso la stessa Corte di Cassazione ha riconosciuto a “ciascuno dei coniugi il diritto a condizionare il proprio consenso alla separazione personale ad un soddisfacente assetto dei propri interessi economici, sempre che in tal modo non si realizzi una lesione di diritti inderogabili” (Cass. Civ., sez. III, n. 3940/84), cui è deputato il controllo di omologazione presidenziale.