Il dott. Tizio, medico chirurgo, è Direttore dell’Unità Operativa di cardiochirurgia dell’Ospedale Pubblico Alfa ed è titolare del potere di stabilire il piano operatorio, decidendo il medico e la data in cui devono essere operati i diversi pazienti che si rivolgono a quella struttura ospedaliera per sottoporsi a delicati interventi chirurgici. Tizio prospetta ad alcuni pazienti la possibilità, in alternativa all’intervento condotto in regime ospedaliero ordinario e gratuito, soggetto a lunghe liste d’attesa, di un intervento intramoenia con possibilità di scegliere l’equipe chirurgica di propria fiducia, dietro pagamento all’azienda di circa 12.000 euro, metà dei quali destinati a lui, ovvero di un intervento condotto da lui personalmente, facendo figurare comunque il regime ospedaliero gratuito, a condizione però che gli fosse corrisposta direttamente ed in contanti una somma di denaro da versarsi dopo l’intervento – di solito inferiore rispetto a quella prevista per gli interventi intramoenia – e che venisse sottoscritta una lettera, da cui doveva risultare contrariamente al vero che tale donazione di denaro era una spontanea iniziativa dei soggetti operati, destinata ad opere di beneficenza. Il Tizio effettuava così, inducendo i pazienti (o i loro familiari) ad esosi esborsi di denaro, numerosi interventi chirurgici con indubbi vantaggi economici; un giorno un paziente si oppone nettamente a questo sistema e minaccia il medico di raccontare tutto in Procura.
Tizio, titolare di una pubblica funzione all’interno dell’unità operativa di un ospedale, è definito dall’ordinamento penale “pubblico ufficiale”: in questo senso soccorre l’art. 357 cp e la sua specifica giurisprudenza, anche se in questa fattispecie non vi sono particolari difficoltà ad attribuire tale qualifica poiché è pacifica che la funzione sanitaria sia “pubblica” e che il suo ruolo, per giunta apicale, sia rivestito di poteri autoritativi tipici della pubblica amministrazione (S.VI 80/1017).
Tale connotazione del soggetto attivo ci esime dal dover verificare una ulteriore serie di dati necessari e delineare la possibile applicazione al caso de quo della fattispecie prevista e punita dall’art. 317 cp, ossia il delitto di concussione.
Tale norma richiede, oltre ad un determinato soggetto attivo, la sussistenza di ulteriori due dati oggettivi: il primo è l’abuso della qualità o dei poteri; il secondo è la costruzione o l’induzione a dare o promettere denaro o altre utilità.
Quanto al primo, dalla descrizione della condotta emerge che Tizio, in grado di determinare personalmente l’ordine delle liste di attesa e l’equipe operatoria, avrebbe piegato l’imparzialità della pubblica amministrazione a suo vantaggio: in questo caso si avrà un abuso dei poteri rientranti nella sua sfera di competenza tipica per uno scopo diverso (ed illecito) rispetto a quello per cui quei poteri gli sono stati attribuiti dall’ordinamento (S. VI 09/24272; S. VI 03/15742). Inoltre, tale deviazione rispetto al potere tipico della sua funzione viene colorato da parte della sua giurisprudenza come un abuso obiettivamente anti-giuridico che vale ad aggravare l’ulteriore elemento del “metus publicae potestatis” (S.VI 87/833).
Il secondo elemento oggettivo viene a configurarsi ogniqualvolta un soggetto veda la propria volontà piegata, se non coartata, dal timore che la sua posizione soggettiva possa subire un danno, sia sulla base di una esplicita minaccia, sia attraverso l’inganno: in questo caso la volontà del soggetto passivo sarà repressa dalla posizione di preminenza del pubblico ufficiale che avrà ingenerato in lui la convinzione di dover adeguarsi alle decisioni dell’agente per evitare il pericolo di subire un pregiudizio (S.VI 09/46514).
La condotta di Tizio ben potrebbe quindi corrispondere a quanto appena descritto poiché i pazienti (o i loro familiari), in stato di bisogno per delicati interventi cardiochirurgici, si vedevano assolutamente indotti, se non coartati (nei casi di malattie più gravi), dalla prospettazione di lunghe liste d’attesa e di una alea alla determinazione dell’equipe operatoria.
Per quanto attiene all’indebito vantaggio, in questo caso costituito semplicemente da denaro (come tipicamente richiesto dalla norma), è evidente che si configura nel momento in cui il Direttore, per una prestazione da lui dovuta e perciò retribuita dall’ente pubblico, induce a promettere o a dare una somma ulteriore non dovuta, perfino mascherata da liberalità. Quanto al momento consumativo del delitto, questo è integrato dalla semplice promessa di pagamento avvenuta sotto la pressione del “metus publicae potestatis”, essendo il pagamento (o la dazione di altra utilità) un mero fatto che realizza l’illecito profitto (S.VI 04/33419; S.VI 93/2985). Ma vi è di più: la Corte di Cassazione (S.VI 94/2986) ritiene che l’affidamento del P.U. circa la posticipazione della realizzazione dell’utilità rispetto all’esaurimento dei suoi poteri potestativi comprovi la completa soggezione psicologica del soggetto passivo.
Quanto agli episodi esposti nel caso in esame, saranno sicuramente addebitati come reati consumati anche qualora la semplice promessa non sia stata seguita dall’adempimento, come sopra detto, ma vi è da aggiungere che nulla rivelerebbe perfino la promessa fatta con la riserva mentale di non adempiere (S.VI 95/10492).
Quanto all’ultimo episodio descritto nella traccia, questo potrà essere contestato come tentata concussione in base al combinato disposto degli art. 56 e 317 cp poiché gli atti posti in essere possono essere considerati idonei e diretti in modo non equivoco ad indurre a promettere denaro; ciò che si dovrà verificare è l’oggettiva efficacia intimidatoria, essendo indifferente il concreto stato di soggezione della vittima determinatasi a denunciare l’illecito (S.VI 08/33843 o 92/8148).
A tali comportamenti potrà infine attribuirsi la continuazione ex art. 81 co. 2 cp che potrebbe determinare un aumento di pena fino al triplo di quella da infliggere per la violazione più grave.
Da ultimo occorre verificare se siano possibili altre letture della fattispecie de quo: in primis, non potrà parlarsi di corruzione di cui agli art. 318 e ss. cp poiché elemento caratterizzante la concussione è proprio lo stato di soggezione del privato, anche per evitare un maggior danno (S.II 07/45993); in secondo luogo si potrebbe pensare che la fattispecie rientri nella truffa aggravata dalla qualità di P.U., ma ciò non è se solo si pone la mente all’elemento centrale della truffa e cioè l’errore del privato circa la doverosità della promessa o dazione di denaro (S.VI 09/20195; S.VI 10/1998).
Sarà infine da prospettare all’assistito che l’eventuale condanna per tale reato comporterebbe ex art. 317 bis cp l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ovvero temporanea, se la pena inflitta fosse inferiore a tre anni di reclusione per l’applicazione di circostanze attenuanti; in quest’ultimo caso, la giurisprudenza esplicita che le diminuzioni di pena conseguenti a riti alternativi al dibattimento non possono a ciò essere utili (S.VI 00/2383).