L’assistito, nel luglio 2010, riceve formale diffida da parte del legale di controparte (promissario acquirente) per la restituzione della somma di euro cinquemila, ricevuta a titolo di caparra confirmatoria all’accettazione dell’impegno di acquisto di un bene immobile del settembre 2009, sull’assunto che, avendo concluso la compravendita con terzi nel maggio 2010, si sia reso inadempiente.
In primo luogo, nella scrittura del settembre 2009, si legge che qualora l’offerente “non si presenti, nel termine fissato [dicembre 2009], per la sottoscrizione del rogito notarile, l’impegno si intenderà risolto di diritto e il venditore sarà libero di vendere ad altri, mentre le somme versate dal sottoscritto [promissario acquirente] andranno a vantaggio della parte promittente venditrice”. Già da ciò discende che era in capo all’offerente l’onere contrattuale di attivare il processo contrattuale per la conclusione dell’atto pubblico. Tuttavia, nelle more si era evidenziata una difficoltà nell’accesso al credito che aveva determinato la concessine di una proroga dei termini del primo accordo, integrato dalla scrittura privata del 31.12.09, ove si stabilisce che “la stipula Notarile di trasferimento della proprietà dell’immobile in oggetto ed il contestuale saldo e consegna vengono prorogati entro il 10.02.2010 a condizione che la parte promissaria acquirente riesca ad effettuare un ulteriore versamento di € 16.000/00 dico sedicimila/00 alla parte promittente venditrice entro il 10.01.2010”.
Dal momento che nessun versamento è stato registrato tra le parti, il venditore, pur amareggiato e danneggiato dall’aver inutilmente aspettato oltre cinque mesi per la conclusione della compravendita, ha ritenuto la caparra versata ed ha rimesso sul mercato l’immobile, infine venduto lo scorso maggio ad un prezzo inferiore di un 30% rispetto a quanto pattuito nel settembre 2009.
Già prima facie è evidente che nessun inadempimento contrattuale può essere imputato alla parte venditrice e, semmai, il promissario acquirente avrebbe dovuto chiedere non la restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria bensì del doppio, come previsto nell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 1385 cc. Infatti l’ordinamento riconosce (Cass. Civ. n. 4801/08) il diritto alla restituzione della caparra confirmatoria versata solo se, con sentenza definitiva, sia stato dichiarato nullo il contratto preliminare, trattandosi in ipotesi di una prestazione senza causa.
Dall’esame preliminare dell’istituto si evidenzia che i rimedi previsti dall’art. 1385, commi 2 e 3 cc sono tra loro alternativi e non cumulativi. Infatti, la parte adempiente può scegliere tra:
– recedere dal contratto e ritenere la caparra confirmatoria (ovvero esigerne il doppio), limitando così il risarcimento alla somma pattiziamente stabilita e quindi determinando il venir meno di tutti gli effetti giuridici del contratto e dell’inadempimento;
– agire in giudizio con domanda costitutiva per la risoluzione contrattuale (Cass. Civ. n. 18850/04) ex artt. 1453 e 1455 cc e quindi per il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1223 cc, dovendone nel caso provare sia l’an che il quantum (Cass. Civ. n. 17923/07).
Il recesso di cui al secondo comma del citato articolo postula necessariamente l’inadempimento della controparte (colpevole e di non scarsa importanza, Cass. Civ. n. 398/89) e non è subordinato all’intimazione di una diffida ad adempiere (Cass. Civ. n. 2019/72), essendo previsto dalla legge che tale effetto si produca con la ritenzione della caparra (ovvero con la richiesta del suo doppio).
Questa disciplina non si applica qualora la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, abbia agito per la risoluzione del contratto (Cass. Civ. n. 3805/95) e quindi per il risarcimento dei danni come sopra descritto: in tal caso la caparra potrà essere trattenuta, ma solo con funzione di garanzia dell’adempimento dell’obbligazione risarcitoria (Cass. Civ. n. 849/02), perdendo ovviamente la sua funzione di liquidazione anticipata e convenzionale dei danni.
Inoltre, nella vicenda storica rileva che nel maggio 2010 – ad oltre tre mesi dall’ulteriore termine per l’adempimento – controparte abbia formulato una nuova proposta di acquisto, ad un prezzo inferiore, evidentemente ritenendo che la precedente fosse oramai inefficace per essere spirato il termine essenziale per la stipula dell’atto pubblico di compravendita.
Nel caso de quo bene ha fatto il promissario venditore a trattenere la caparra versata, legittimato a ciò sia dalla legge, che dalle inequivoche pattuizioni.
Tuttavia, il promissario venditore adempiente avrebbe potuto avvalersi della facoltà di provocare la risoluzione del contratto preliminare mediante diffida ad adempiere ex art. 1454 cc, ritenendo definitivamente la caparra confirmatoria ricevuta (Cass. Civ. n. 16221/02): in questo modo avrebbe sicuramente evitato anche pretestuose richieste restitutorie.
Comunque, ciò non toglie che il suo comportamento contrattuale sia stato legittimo, corretto e secondo buona fede.