La Sig.ra B. venne rinviata a giudizio per il delitto p. e p. dagli artt. 81 co. 1 e 582 u. c. del c. p. perché, così recita l’imputazione, “dopo aver offeso il decoro del Sig. S. all’interno di un locale pubblico ed alla presenza di più persone”, lo “colpiva con un pugno al volto, procurandogli delle lesioni dalle quali derivava una malattia della durata non superiore a giorni dieci”; ciò avvenne il 12 luglio 2003 in uno Chalet di X.
All’esito del dibattimento, il Giudice di Pace di X ha riconosciuto la Sig.ra B. responsabile dei reati ascritti e, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, ha pronunciato condanna alla pena di € 600,00 di multa e al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita (Sig. S.) da liquidarsi in separata sede, oltre al rimborso delle spese di costituzione e difesa della stessa.
Passata in giudicato la suddetta sentenza il 16 gennaio 2007, il difensore del Sig. S., dopo aver inutilmente tentato di addivenire ad una soluzione stragiudiziale, anche per la definizione del quantum debeatur, provvedeva alla registrazione ed alla notifica in forma esecutiva della stessa, contestualmente ed immediatamente prima dell’Atto di Precetto per il recupero delle spese di difesa.
Inoltre, il 14 maggio 2008, vista l’impossibilità di raggiungere un accordo, il Sig. S. citava innanzi al Giudice Monocratico del Tribunale di X la Sig.ra B. per ivi sentir accogliere la domanda di condanna della convenuta al risarcimento del danno ingiusto, quantificato in complessivi € 10.525,00, a titolo di danno biologico, danno morale da lesioni personali volontarie, da offesa al decoro, all’onore e alla reputazione, oltre al danno patrimoniale conseguente all’assenza dal lavoro.
Pur ritualmente citata, parte convenuta si costituiva solamente il giorno antecedente l’udienza di prima comparizione delle parti, incorrendo nelle decadenze ex art. 167 c.p.c. che, al II° comma, dispone l’onere di proporre nella Comparsa di risposta le “domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”.
Senza voler affrontare il merito della questione risarcitoria, ovvero la prova dei danni patiti dalla persona offesa dal reato, preme, in questa sede, analizzare i rapporti tra il giudicato penale di condanna ed il giudizio civile di danno.
Introduttivamente occorre ricordare che, fin dalla sua promulgazione, il codice di procedura penale ha abbandonato il principio della pregiudizialità penale e, in ossequio all’accentuata relatività degli esiti del giudizio penale, influenzati dalle iniziative delle parti, tende a restringere il vincolo derivante dal giudicato, sia nei confronti dei soggetti destinatari, sia in merito al contenuto dell’accertamento.
Alla luce di ciò, il c. d. effetto vincolante del giudicato penale, espresso dagli artt. 651 – 654 c.p.p., necessita di una interpretazione restrittiva e quanto più aderente al dettato normativo; dunque si impone una pedissequa osservanza delle regole sul contraddittorio, come già la Corte Costituzionale aveva statuito (C. Cost. 26/06/1975, n. 165): se per il condannato ciò si può presupporre, per il responsabile civile occorre aprire una breve parentesi, assicurandogli una maggiore attenzione, dal momento che questi deve essere stato posto nella condizione di partecipare al processo penale, o tramite citazione ex art. 83 c.p.p. o con l’intervento volontario ex art. 85 c.p.p., affinché il giudicato penale possa poter spiegare i suoi effetti anche nei suoi riguardi.
Riscontra questa ricostruzione il II° comma dell’art. 86 c.p.p.: la richiesta di esclusione del responsabile civile, che non sia intervenuto volontariamente, può essere avanzata dallo stesso, “qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare pregiudizio alla sua difesa” (per le prove pregiudizievoli che legittimano l’estromissione dal giudizio, v. anche Cass. Sez. III, 03/12/03, E. M.).
Dunque, nel caso in cui il r. c. non abbia partecipato al processo penale, la conseguente sentenza definitiva non spiegherà, nei suoi riguardi, alcun effetto in sede civile risarcitoria: il giudice civile potrà (rectius, dovrà) valutare autonomamente i fatti comunque accertati in sede penale.
Infine, dal punto di vista del danneggiato, mancano riferimenti espressi per l’efficacia del giudicato penale di condanna. Nulla quaestio nel caso sia ad esso “favorevole”, poiché non avrebbe alcun interesse ad eccepirne l’inutilizzabilità per violazione del principio del contraddittorio nei suoi riguardi; al contrario, occorre ricercare una soluzione congrua nel caso di pronuncia (ex art. 651 c.p.p.) “sfavorevole” allo stesso: qualora sussistano le condizioni ex art. 652 c.p.p. (riferite agli effetti del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile di danno), l’efficacia della pronuncia di condanna “sfavorevole” al danneggiato sarebbe dovuta, poiché si sarebbe comunque garantito sufficientemente il rispetto del diritto al contraddittorio.
Dal punto di vista dei limiti oggettivi, l’art. 651 c.p.p. pone come condizione per l’efficacia del giudicato penale che la pronuncia (definitiva) consegua al dibattimento, ovvero sia stata emessa ai sensi dell’art. 442 c.p.p., ma, in questo caso, solo se la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato non vi si opponga.
Il presupposto perché si possa applicare la norma in esame è che l’azione riparatoria instaurata davanti al giudice civile abbia ad oggetto il medesimo fatto, costituente reato, e coinvolga gli stessi soggetti partecipanti al procedimento penale. Quando ciò avvenga, il giudice civile adito non potrà ridiscutere l’accertamento della sussistenza del fatto, la sua illiceità penale e l’imputabilità dello stesso in capo al condannato: ciò in riferimento alla realtà fenomenica oggettiva, ai presupposti logico-giuridici della decisione, alle risultanze e alle affermazioni conclusionali della statuizione.
Sulla base di questa esposizione, si può concludere che:
1. in assenza di un apprezzamento formale in sede penale circa il concorso di colpa del danneggiato, il giudice civile avrà la più ampia libertà al fine di accertarne la sussistenza;
2. l’accertamento della colpa esclusiva dell’imputato esclude ogni indagine in merito al concorso di altre eventuali colpe.
Nel caso che ci occupa, dunque, analizzando la Sentenza di condanna del Giudice di Pace, si evince che egli ha puntualmente ricostruito (e negato) il possibile concorso del danneggiato nella causazione del danno: “dovendosi ritenere provato il fatto storico della lesione arrecata alla parte civile dalla imputata, si deve evidenziare come la invocata esimente della legittima difesa non si sia invece appalesata fondata su alcun dato probatorio”; ed ancora: “è di tutta evidenza che non può ritenersi provata la circostanza della molestia, e tanto meno da parte dello S., posto in primo luogo che detta circostanza viene rappresentata esclusivamente dall’imputata”.
Si può dunque concludere che nel processo civile per la definizione del quantum debeatur il Giudice Monocratico dovrà valutare, anche equitativamente (cfr. art. 1226 c.c.), solo l’entità dei danni patiti, non potendo indagare su eccezioni che rimetterebbero in discussione una sentenza definitiva a cui la condannata ha prestato comunque acquiescenza.